festival degli scrittoriPer i vent'anni di attività dei Laboratori di scrittura, che abbiamo festeggiato domenica 18 novembre 2012, abbiamo raccolto le testimonianze di allievi di ieri e di oggi. Abbiamo chiesto loro di raccontarci in poche righe il ricordo della loro prima esperienza con noi. Ecco qui i loro contributi.

Tutti coloro che desiderano aggiungere il loro ricordo della "prima volta" al laboratorio possono mandarci un breve testo all'email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


Per me già era un miracolo che ci fosse a Napoli una scuola di scrittura. Ricordo l’accoglienza: l’interesse per quello che ognuno di noi scriveva. Credo che chi ami scrivere abbia una duplice anima, i cui aspetti si alternano o convivono: l’insicurezza, il dubbio e la presunzione di aver fatto il meglio. Devo dire che con il tempo ho visto anche gente piangere di fronte a sane e dure critiche: è difficile guardare quello che si è, anche attraverso la scrittura, è difficile guardare dal di fuori. E’ difficile insegnare a ognuno ad avere fiducia nella propria scrittura, a cercare la propria voce e ad effettuare un buon editing sul proprio lavoro. Antonella ne ha la capacità. Ricordo la chiarezza con cui ci parlava, la competenza, le centinaia di libri letti che sono dietro le sue parole, la capacità di armonizzare il gruppo, l’amore per la scrittura. Grazie.

Aureliana Donadio, segue Lalineascritta da quasi 10 anni (una colonna!), ha pubblicato racconti ne “La città difficile” (Edizioni dell'Ippogrifo 2006) e in “Fughe” (Perrone), è stata finalista del Premio Caffè Moak “I racconti sul caffè”, anno 2009. Classe ’51, nata a Napoli, vive ora al Lago Patria. Parziali studi di medicina, ha lavorato per un istituto di ricerche di mercato, sposata, due figli. Tra i suoi interessi, supportati anche da corsi: scrittura, teatro, ceramica, psicologia. Ama la natura, gli animali, il piacere della lettura e della scrittura.


Faccio fatica a ricordare l’anno, è passato tanto, troppo tempo. Potevo dirmi giovane, approssimando un po’. C’era stato un prologo, pochi mesi prima, su un’isola greca. Improvvisamente mi era venuta voglia di raccontare qualcosa. E senza starci su troppo a pensare, l’avevo scritta. Avevo scritto qualcosa senza l’oppressione del censore, senza la dittatura dei concetti. Sorpresa. Rivelazione. “Però!...”
Ma la sorpresa vera sarebbe arrivata dopo. In un glorioso, labirintico teatro napoletano. Scrittori che parlavano di scrittura, e neanche l’ombra di uno sbadiglio. E una donna miope e sorridente, che stava lì a raccontare una possibilità. A illuminare bene quello che in Grecia aveva cominciato a intravedersi nell’ombra. Ci diede dei foglietti con degli animali immaginari, carte, penne. Un gioco che come tutti i giochi seri (cioè quelli che non lo sembrano) è stato l’inizio di una storia fondamentale. Da quel giorno non ho più smesso di farmi prestare da quella donna la torcia elettrica per cercare di illuminare le mie stanze. E’ una torcia alimentata ad inchiostro. Consuma pochissimo, e illumina molto.

Marco Alfano è musicista, ex dello storico gruppo “Panoramics” e ha lavorato, da solista, per il cinema, la televisione ed il teatro. Allievo de Lalineascritta da lunghissimo tempo, ora guida con Antonella Cilento i corsi in web conference. Ha pubblicato racconti in numerose antologie, l’ultimo in “Bombeiros” (Tapirulan edizioni). E’ tra i vincitori del concorso "Angoli di strada" organizzato dalla Scuola Holden di Torino, finalista del Premio Arturo Loria 2006, vincitore della sezione narrativa del "Turin Live Festival" 2009, finalista dei premi "Domenico Rea – Città di Empoli", "Le cantine di Pasolini", "Ioracconto". Suoi racconti sono stati inclusi nelle raccolte "Le déjeuner sur l'herbe ed altri racconti" (APM Edizioni 2006), "La città difficile" (Edizioni dell'Ippogrifo 2006), "Souvlaki" (Tapirulan 2010), nonché sui quotidiani "L'Unità" e "Roma".


Le decisioni migliori della mia vita, quelle prese senza pensarci troppo su. Mi trovo al laboratorio di scrittura e fino al giorno prima non ci avevo neanche pensato.  
Il gruppo è numeroso, Antonella accogliente. Il corso è cominciato da tre mesi: arrivare per ultima in gruppi già formati è una storia che, a cominciare dalla mia nascita, ho vissuto molte volte. Mi chiedo se questa volta saprò varcare i confini del mio posto di ultima arrivata.
Torno a casa e scrivo.
Quella notte, in sogno, come Ulisse sono su una barca, pronta a cedere al richiamo delle Sirene. Accanto a me, Antonella. Conosco il richiamo: la tristezza senza sbocco, la paura di perdere mia madre, e, vivendo, di perdere ogni cosa. Posso ascoltarlo, ma qualcosa mi tiene legata e attraverso il mare illesa, e grata.
La settimana dopo, torno al laboratorio; e così per molti anni ancora. Ogni volta sento l’antica gratitudine, verso Antonella e verso la scrittura.

Chiara Cicala (1965) è psicologa. Segue Lalineascritta da otto anni, ha pubblicato un racconto nell'antologia “Fughe” (Perrone). Sta lavorando al suo primo libro, forse di racconti, forse un romanzo.


Io scolaretta grembiule e macchinetta.
Io bimba bella ma sempre un po’ monella.
Io fiocco in testa e penna a scatto.
Io adulta e scomoda e un foglio bianco.
Il foglio bianco è la vera prigione dell'essere. La vera prigione mia. Devo uscire.
Prima lezione. Devo uscire da me.
Nelle città, cerco sempre le librerie.  In questa libreria si scrive, acciambellati in tanti su un unico tavolo, con le agende sulle ginocchia e il naso per aria, a cercare ispirazione da una decorazione del soffitto, un rivestimento per fili elettrici, una scala che porta al piano di sopra.
My own place, ci vuole ci vuole. Aveva proprio ragione.
Noi miseri e il foglio bianco, inventare le parole, scrivere di getto, quello che viene. Una donna giovane e paziente sorride tollera e dà addirittura valore al nostro nulla.
E scrive.
Mentre noi scriviamo anche lei scrive.
Chissà cosa scrive. Mi distraggo spiandola. Poemi d’amore, forse.
Parola scelta da sviluppare: funerale. Tutti ridono, mi sento meglio.
Incontro con l’autore. Sono in prima fila ho stivali aggressivi e l’autore mi guarda. Credo che gli piacciano gli stivali. Poi lo porto in stazione. Adesso chissà avrà un autista. Fine della prima lezione di scrittura creativa. Noi miseri e il foglio bianco, inventare le parole, scrivere di getto, quello che viene. E’ che non viene, Antonella, non viene. Il foglio bianco è la vera prigione dell'essere. Ma non sono più sola e non ho più paura.

Brunella Cappiello è attrice, drammaturga e scrittrice, scrive e interpreta le sue pièces. Ha appena terminato il suo primo romanzo e con un racconto vinto il Premio Loria edizione 2012.


La prima volta che partecipai al laboratorio non la ricordo con precisione, ma ricordo i miei  pensieri. Ero certa che gli altri, tutti quegli altri, avrebbero scritto cose peggiori delle mie. Io sarei stata comprensiva e incoraggiante, però, se ce n’era l’occasione. Poi mi chiedevo quanto diavolo fosse profonda la mia paura per produrre nella testa tutta quella ridicola e immotivata presunzione. Non sapevo quasi nulla. Scrivevo cose informi, confuse, frammenti di racconti senza corpo. Ogni tanto sulla pagina del quaderno si materializzava un’ombra, un volto che poi sgusciava via veloce. Io ne restavo affascinata, ma non sapevo come inseguirlo. Cominciai a riconoscere quei lampi anche nelle parole scritte dagli altri. Nel laboratorio comparvero bambine che facevano amicizia con gli zingari sui treni, nani innamorati, pensionati alticci per le dentiere immerse nel whisky, violentatori che non volevano farsi fotografare per non vedere il proprio volto, sorelle consumate dalla gelosia, campagne assolate e vicoli sporchi. Si spalancò una porta che prima neanche avevo immaginato esistesse e di là entrai in un mondo di meraviglie. Eravamo tutti lì a combattere con le nostre inettitudini, a correre la nostra corsa a ostacoli, a tendere l’orecchio a ogni voce, a nutrirci dei dubbi e delle osservazioni degli altri. E Antonella era sempre con noi, una maestra che non interroga, ma apre porte.

Mara Fortuna, nata nel '56, vive e lavora a Napoli, dove insegna Inglese al liceo scientifico. Negli anni ha coltivato molti interessi: la danza, l'espressione corporea, il teatro. Attualmente coltiva anche un piccolo pezzo di terra sul Vesuvio. Segue da diversi anni il laboratorio di scrittura di Antonella Cilento. Ha pubblicato "Sapori Mediterrranei" (Labirinto ed.), "L'intervista a Petra Krause" (Ed. Pironti) e alcuni racconti su quotidiani. Collabora con il quotidiano online "Il Mediano" tenendo la rubrica "Questioni di genere".


La  prima volta che mi sono iscritta ad un laboratorio di scrittura avevo diciotto anni. La sede era vicinissima a casa mia, così prima di andare avevo tanto tempo per pensare a tutte le buone ragioni per non frequentare un laboratorio di scrittura, prima fra tutte la paura di scoprire che non ero uno scrittore e non lo sarei mai diventata. Il fatto che Antonella fosse un insegnante infinitamente paziente non faceva altro che aumentare la certezza che io lì non c’entravo niente. Mi arrabbiavo perché la mia maestra e i miei compagni non mi dicevano chiaro e tondo che quella non era la mia strada, permettendomi di vivere felice facendo altro. Così un giorno me ne sono andata.
La seconda volta che mi sono iscritta ad un laboratorio di scrittura di anni ne avevo ventisei e vivevo ad ottanta chilometri dalla sede della scuola. Uscivo di casa a mezzogiorno e tornavo alle dieci di sera per frequentare in tutto due ore di lezione. Era stancante e, inoltre, la frustrazione che mi aveva fatto scappare la prima volta era sempre lì, solo che ora mi ritrovavo a chiedere spesso ad Antonella e ai miei compagni di rassicurarmi sul fatto che sapevo scrivere, anche se era una bugia.
Frequentare una scuola di scrittura per me è significato e significa soprattutto sottrarre. Ogni giorno devo sottrarre dalla scrittura le mie paure e le mie aspettative, le mie false certezze e le mie cattive abitudini e ripartire sempre e solo dal foglio bianco. Ad oggi questa è l’unica pratica che mi fa uscire dal mio corpo e mi fa sentire tutta la realtà del mondo. E ho scoperto che scrivere fa parte di quello che sono, non di quello che voglio diventare.
Credo che se a diciotto anni avessi incontrato un maestro che mi avesse detto quello che volevo sentire oggi sarei ugualmente felice, ma non sarei me stessa. E questo non te lo danno tutti i maestri.

Stefania Bruno, dottore di ricerca in Storia del Teatro Moderno e Contemporaneo, dal 2006 si è formata presso i laboratori de Lalineascritta. Ha seguito laboratori teatrali con lo storico gruppo Odin Teatret e ha studiato mimo con Michele Monetta. Ha seguito laboratori di drammaturgia con Enzo Moscato. Ha collaborato con la rivista letteraria Stilos. Suoi racconti sono editi in Fughe”(Perrone), “I capelli di Guido”, e in GRANTA (Rizzoli), “Aldo”.
Sta lavorando al suo primo libro. Dal 2010 collabora con Lalineascritta, conducendo laboratori di scrittura creativa nelle scuole.


Una sera di dicembre, quando a Napoli restiamo spalmati per le strade ad attendere il Natale senza molta convinzione e i nervi a pezzi, arrivai al laboratorio di scrittura stanco e preoccupato. Ascoltammo della musica, stesi su materassini. Se ricordo bene, eravamo al buio o quasi. Si riaccesero le luci, con dolcezza, e riprendemmo posto. E poiché finivamo il primo trimestre del secondo livello, ed eravamo tutti in crisi perché ci scontravamo con la difficoltà di dare forma e struttura alle nostre idee, in quei momenti drammatici in cui ci sembra che non abbiamo davvero niente di interessante da dire, Antonella ci propose di scrivere in prima persona e liberamente tutto quello che avevamo in testa. Lasciare da parte la trama, il filo della storia, le dissertazioni lunghe ed estenuanti su punto di vista, credibilità, visibilità … Lasciare da parte e mettersi a nudo. Lo feci. Scrissi della voglia di essere come si è, della fatica di tenere insieme troppi fili, dell’angoscia di svelarmi, di familiari vivi e morti. In quelle parole, c’era tutta la trama che poi sarebbe venuta! L’esperienza più forte del laboratorio, il ricordo sempre vivo: la lettura ad alta voce di quelle parole. Denudarsi e non avere paura. Sentire visceralmente l’emozione di chi ti ascolta.

Eduardo Savarese, magistrato e scrittore, ha appena pubblicato il suo primo romanzo per e/o, “Non passare per il sangue”, già segnalato dal Premio Calvino con il titolo “L’amore assente”. Dopo essere stato allievo de Lalineascritta e aver pubblicato numerosi racconti e vinto il Premio Loria, è oggi un attivo collaboratore di Antonella Cilento: conduce laboratori di opera lirica e gli incontri de L’Ora fatale presso il MeMus-Teatro di San Carlo e, inoltre, laboratori di scrittura con allievi diversamente abili per l’ass. A ruota libera.


Mi avevano detto che era severa. Avevano ragione. Come una madre  che ti lascia piangere quando serve, che anche se strilli e strepiti, ti resta accanto, ma il ciuccio non te lo rende.
Mi avevano detto che la scrittura non si insegna, è una contraddizione. Sono soldi buttati, roba da casalinghe (disperate) in cerca di un' alibi alla solitudine. Avevano ragione. E avevano torto, come sempre.
Mi ricordo che ero diffidente, ovvio. Mi ricordo che sorrideva, non poteva essere seria. Mi ricordava Mary Poppins. Mi ricordava che da qualche parte doveva pur esserci qualcuno così. Mi ricordo che per un anno sulla strada al ritorno ho provato la gioia, mai vista, mai nata, di un posto per me. Un posto dove il mio vizio non fosse sbagliato. Dove la voce che trema e la penna che scrive (male) non fossero errori, ma solo un inizio. Dove il tempo rubato alle ansie, al nulla, fosse impiegato per leggere, scrivere. Dove stare in classe, in cerchio, col quaderno sulle ginocchia e la penna che scrive senza staccarsi dal foglio fosse la regola, la palestra per tornare a farlo da solo, senza smettere più. Mi ha insegnato a non vergognarmi. A non chiedere scusa dell'amore mio per i libri, e dei libri per me. Mi ha insegnato la disciplina. A concedermi il tempo, lo spazio per scrivere, leggere e riscrivere. E ogni volta puntare più in alto. Con le letture e le scritture. Alzare il tiro con le parole: superare la perfezione e mirare all'impeccabilità.

Stefano Mussari è psichiatra. Con il suo primo racconto è stato selezionato per Lalineascritta da Esor-dire. Un libro si fabbricherà dalle sue parole, ci si può scommettere.


Era la mia piazza preferita già allora, lì c'era la libreria dove si teneva il laboratorio in quegli anni. Quando arrivavo in anticipo sedevo al caffè arabo e ordinavo una birra e leggevo - le prime birre da sola della mia vita. Del laboratorio mi aveva parlato un'amica di mia madre: 'a te che piace scrivere...'. Lo sapeva perché mia madre ha sempre raccontato quello che le sue figlie fanno, sanno fare e amano fare. Certe volte questo ha portato cose buone, come quel suggerimento, 'prova ad andarci, a te che piace scrivere...'. Molte volte ho scritto di mia madre e del suo modo di fare, di parlare di noi, durante gli esercizi in laboratorio. C'era un momento magico, sempre. Non era scoprire ogni volta che riuscivo a seguire la regola di scrivere senza pensare, senza mai fermare la mano. Non era quello. Per me il momento magico era subito dopo, quand'era il mio turno di leggere: c'era un pubblico, un suono, un giudizio; potevo sentire se quel pezzo era buono, e piaceva. Era il momento in cui diventavo davvero scrittrice.

Viola Rispoli, napoletana, 36 anni, ex inviata di Annozero, ex consulente per Fox, autrice di soggetti, di cortometraggi, di articoli, di racconti pubblicati su diverse antologie, vive a Roma lavorando come sceneggiatrice, in particolar modo per serie e miniserie televisive come La Nuova Squadra, Don Matteo, La Vita che Corre, Un Passo dal Cielo, Delitti in Famiglia.


Scrivo questi appunti senza staccare la penna dal foglio, come mi ha insegnato Antonella. È inevitabile, anche il ricordo della prima lezione è scritto. Ho conservato gelosamente tutti i quaderni del laboratorio. Il primo si apre con una data: 8 Febbraio 2005. Seguono due titoli di due Natalie: “Scrivere Zen” e “Le piccole virtù”, le prime di tante  belle letture consigliate dalla maestra. Poi altri appunti. Perec. Memoria di finzione. Rapporto tra memoria e invenzione, possibilità di prestare i propri ricordi a un personaggio. E  i primi due esercizi. Tre pagine fitte fitte. Conchiglie. Ricordo che Antonella ce ne portò un sacchetto pieno. Per un attimo pensai di aver sbagliato laboratorio. Dovetti ricredermi subito. Erano conchiglie particolari, conchiglie da scrittura. Antonella fece girare il sacchetto in circolo tra i partecipanti. Ci invitò a esaminarle da vicino. A guardarle. A toccarle. A saggiarne la consistenza. Ricordo il suono, lo scroscio delle conchiglie fatte ricadere in una mano. Cominciai a scrivere per la prima volta al laboratorio partendo da queste suggestioni. Scoprii le asperità, la durezza, ma anche straordinarie lucentezza e levità. Delle conchiglie. Della scrittura. Grazie di cuore, Antonella. Grazie, maestra.

Michele Di Palma è nato a Napoli nel 1973 e lavora fra Napoli e Milano. Ha pubblicato La passione del crociato ne La città difficile (Ippogrifo, 2006) e Punti neri, piccoli inestetismi in Fughe (Perrone, 2009) e un capitolo del suo primo romanzo attualmente in lavorazione, “Il dominus” in GRANTA (Rizzoli, 2012) che ha preso da Antonio D’Orrico sul Corsera un bel nove e molti impegnativi e meritati complimenti…


Sapevo che cos’era il laboratorio quando mi iscrissi: uno spazio che mi avrebbe permesso di scrivere e basta, senza pensare ad altro che non fosse quello. Un momento mio, diciamo, separato dal resto. Non sapevo che sarebbe stato una sfida che avrebbe messo in discussione i miei ottimi voti ai temi del liceo e che qualcuno avrebbe alzato la posta della faccenda. Ricordo che il primo esercizio dato fu un verso di Neruda da continuare finché avevamo tempo. Lo feci senza pensarci su troppo. Un anno dopo risfogliando il quaderno ho capito che un pomeriggio alla volta si era tracciato un percorso per la mia scrittura e per quella degli altri. Tutte le ore, le letture, i libri, le confessioni, le critiche, tutte le perplessità e i silenzi di chi mi aveva ascoltato erano riusciti a imprimersi sulla pagina e a rileggerli tornavano in vita. E adesso che di tempo ne è passato, mi sembra che niente somiglierà mai a quella sensazione terribile di leggere qualcosa di tuo, non lavorato, non ripensato, qualcosa di così intimo che ti pare che non possa sopravvivere se letto ad alta voce. Invece sopravvive e a volte diventa racconto e poi viene pubblicato. E nessuno lo sa che è nato in laboratorio perché Antonella ha voluto prenderlo in braccio.

Giusi Marchetta è nata a Caserta nel 1982. È di recente approdata a Torino dopo aver vissuto e lavorato a Napoli.
Finalista al Premio Campiello Giovani e al Premio Loria, nel 2007 ha vinto il Premio Calvino con “Dai un bacio a chi vuoi tu” (Terre di mezzo, 2007, finalista al Premio Cocito). Ha pubblicato racconti su “Linus”, “Il Mattino”, “Repubblica” e in diverse antologie. Ha fondato e dirige “AltaInfedeltà”, rivista on-line di attualità, cultura e intercessioni divine (www.altainfedelta.it). Attualmente insegna latino e greco a scuola e scrittura nei laboratori. Dalla tragica esperienza sul campo ha ricavato alcuni racconti e un breve monologo teatrale, “Pillole di scuola”, diretto da Mario Gelardi nell’ambito di “Presente Indicativo”. Nel 2010 Terre di mezzo ha pubblicato il suo secondo libro di racconti: “Napoli ore 11”. Nel 2011 il suo primo romanzo, "L'iguana non vuole" è stato pubblicato da Rizzoli.


Antonella mi ha insegnato a guardare le storie scritte nelle rughe, negli aliti, negli odori, nei cappotti infeltriti delle persone che incontri nelle file alla ASL o la notte negli autobus bui e veloci sull’autostrada. Sono storie ridicole e tragiche rinchiuse in un pugno, in due occhi serrati  in uno strillo, in uno sputo, in labbra strette e indispettite. Prima guardavo solo, poi da Antonella ho imparato a leggere le persone che incontro. Poi a scriverne un poco. Sono molto lento.

Pino Currò

 


Un amico telefonò al mio altero silenzio da esule a Firenze, mi disse del laboratorio dove avrei potuto aprire la mia agenda poetica cominciata da adolescente Ero lontana dalle piazze rumorose che invece amavo. Eccomi a Napoli ma a laboratorio già iniziato. Davanti al mio senso di inadeguatezza stava, grazie ad Antonella, un rassicurante puoi, come scontato, eppure per me sorprendente. Di lì a poco uno scippo mi privò della mia privatissima agenda. Coincidenza volle che in quei giorni al laboratorio c’era da raccontare la storia di uno scippo. Non sapevo come si fa, a rendere pubblico il privato. Una rabbia troppo frenata la primissima volta mi chiedeva di parlare di borse, l’ incipit casuale raccolto da un libro, e il mio elenco incazzato di signore che portano borse insignificanti di tutte le stoffe, che pretendeva di descrivere ogni dettaglio senza conoscere le parole, non sapeva dire niente a nessuno, e mi incaponivo. Credevo che la sfida, la meta, fosse nell’immagine dello scrittore. Mi battevo con specchi che non mi specchiavano. Mi ci volle tempo e astinenza perché mi lasciassi coinvolgere da un dolce assaggiato e resuscitato nel bel mezzo della memoria, da una foto che per una volta mi raccontò una storia che non fosse solo autobiografica, dal compito di considerare i colori che avvenivano mentre passeggiavo per strada, da una musica: Peacefull Hideaway, di Kirk Whalum. Le luci erano spente, durante l’ascolto. Quando si riaccesero, il mio viaggio verso lontano era tornato da me, a ritroso. Oggi, se rileggo certi scritti, non riesco a guardare a quel mio orgoglio offeso di allora, senza fargli un sorriso. Ricordo la magia, le coincidenze, e quel panico spaesato che provai la prima volta che scrissi qualcosa che bussava e che prima non conoscevo, al pensiero di doverlo leggere, in pubblico. Ricordo che una volta dissi, non riesco perché dentro ai miei scritti ci troppe cose vere. Antonella mi disse, o non abbastanza. Ci vuole onestà, questa fu la lezione che a mano a mano comprendo.

Francesca Picone nata a Napoli nel 1972, 8 Dicembre, ha pubblicato il racconto Sulla soglia, nella collana In fuga, di Evaluna, poi il racconto, Libertà condizionata, nell'antologia "La città difficile" (Edizioni dell'Ippogrifo 2006), e un romanzo breve, Pimmicella e la comunità, edito da Navarra editore. Da grande vuole fare la contadina.

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