Generoso Picone Nina aveva 80 anni quando alle cinque del mattino aprì la finestra e si buttò giù. Voleva uccidersi ma non ci riuscì, il corpo rimbalzò sulle corde dei panni e la caduta fece un gran baccano, i vicini si svegliarono e così pure Aldo, che era a letto tormentato dall’asma. Poi lui morì e Nina ci riprovò bevendo il solvente. Quella volta la salvò la cameriera: venne fuori dal coma a fatica, non parlava ormai più se non per ripetere il nome del marito, piangendo e toccando la fede sarda al dito. Qualche mese dopo ce l’avrebbe fatta a lasciare la vita.
Antonella Cilento spiega di aver cominciato a scrivere il suo libro giusto allora: «Poiché non sapevo abbastanza di Nina e l’avevo tanto amata, poiché non saprò mai abbastanza di Maddalena, sua sorella, o dei miei genitori - dei nostri genitori non sappiamo mai abbastanza - li ho cercati come fossero personaggi di una storia. E altri se ne sono aggiunti alla mia coda: fantasmi, ombre, persone».
Isole senza mare, il suo nuovo romanzo (Guanda, pagg. 371, euro 17: uscirà giovedì 12), è il referto di questa lunga e tormentata indagine, un’esplorazione a ritroso tra i secoli, una ricostruzione dei ricordi condotta con il beneficio dell’invenzione, tante esistenze ripercorse e tenute da un filo ritrovato nel tempo. Una grande narrazione familiare ma non una storia di famiglia, «perché il passato è inventato e il reale si confonde con la fantasia, perché ci sono verità che possono essere dette solo così e perché nessuna memoria è gratuita». In questo largo lessico familiare, su una geografia che dalla Spagna interna punta verso la Sardegna, tocca Roma e arriva a Napoli, in una Italia che tra povertà e cinismi declina l’Ottocento, il Fascismo, le guerre e la contemporaneità, i tentati suicidi di Nina assumono il significato di un cardine importante. Non perché nei suoi gesti possa nascondersi una verità - se non quella di aver cancellato la possibilità di vivere l’infanzia - , quanto per il fatto che «i morti ci seguono, sono la nostra coda di drago. Ci spingono, ci trattengono, se ci voltiamo scompaiono. Ognuno di noi è come Orfeo», aggiunge Cilento.
Bisogna guardare avanti. Però quante cose non si è riusciti a vedere, a capire, a sapere? «Si cresce come si può, scansando i sassi, cercando al luce», scriveva Italo Svevo nei suoi diari: e quando succede di pensare a chi si è diventato, quando si assume la consapevolezza che il peso del passato rischia di rendere impraticabile il presente, quando ci si ritrova a riflettere sulla eufemisticamente complessa costellazione di rapporti e affetti personali, la terapeuta non potrà non constatare che c’è tanta materia per un romanzo. A condizione di utilizzare il velo protettivo della letteratura che la trentottenne narratrice napoletana stende con grande abilità e discrezione, convocando i suoi riferimenti principali, qui Natalia Ginzburg e Fabrizia Ramondino soprattutto.
Vale la pena di citare l’esergo della Ramondino al capitolo finale: «Le visioni, che sono verità rivelate, come le ossessioni, che sono verità non ancora rivelate, non si possono dimenticare; né però spiegare». Resta la scrittura. Nina e Aquila sono le due donne protagoniste della storia. Interpretano due aspetti dell’identità femminile. Si muovono su scenari paralleli a cent’anni di distanza: Nina è sarda, ha attraversato gli anni del Fascismo e della guerra, ha perso presto il padre, si è sposata tardi, non ha avuto figli, la sorella Maddalena è quel che le resta. Porta dentro di sé tenebre e paure mai esplose prima del suo salto nel vuoto. È l’ultima erede di una famiglia che fuggì dalla Spagna, come Aquila un secolo prima: nobile finita in povertà, a Roma costretta a prostituirsi e quindi amante del marchese Giovanni Pietro Campana, grande collezionista d’arte e impagabile truffatore, in verità innamorata persa del fascinoso attore inglese Adam Eggs.
È inquieta, visionaria, pronta a incresparsi alla passione. Le unisce il punto di partenza, il paesino di Azara sui Pirenei, e un destino di solitudine e infelicità. A loro pare essere precluso l’amore vero. Sono isole senza mare e, giocando con le parole, isole senza amare: simbolo, cioè, di un bisogno antico e purtropo insoluto delle donne. Antonella Cilento ne delinea i profili con straordinaria precisione e vividezza di toni che le rende protagoniste assolute di una scena corale.
Letterariamente nate dalla performance del 1998 titolata già «Isole senza mare», che proponeva una attrice per i due personaggi di Anna Maria Ortese ed Elsa Morante, hanno incrociato il racconto «Téttari», dal nome sardo dei morti stecchiti, i fantasmi senza lenzuolo che popolano le stanze e le paure dei bambini: alla Ortese e alla Morante si sono sostituite loro, Nina e Aquila, e il romanzo è cresciuto, procedendo per stesure e accumulazioni - lo rivela Antonella Cilento ma è ben chiaro alla lettura - e offrendo lo spazio all’autrice per calarsi con la problematicità della sua presenza. In questo, è un autentico romanzo di formazione, la prova che consente di superare linee d’ombra e sperimentazioni per maturare una cifra di rilievo.
Un testo in cui anche curvature e accenti autobiografici - «Da sempre le donne della famiglia lamentano una patria perduta, tutte spaventate che dai lunghi viaggi - in mare, in cielo o in terra - qualcuno non torni: i mariti si perdono, i fidanzati e i fratelli muoiono, le famiglie si smembrano» - sono al servizio di una pagina alta che diventa metafora di una condizione umana generale. Le vicende di Nina e Aquila, le loro vibrazioni emozionali, i silenzi e le urla, la saggezza e il furore che le muove vanno a formare il racconto lungo delle donne. Si ritrovano nel dipinto di Felice Casorati, «Le signorine» del 1912: ci sono quattro figure femminili, una è brutta e curva e sembra la bisnonna Maria Azara; una e bella e malinconica perché invidiosa come Maddalena; Gioconda è Nina con l’entusiasmo della giovinezza; la più sfrontata si chiama Bianca, nel quadro è nuda e di Aquila ha l’anima svestita. Nota Antonella Cilento che sul prato manca solo un telefono bianco o un De Sica ai loro piedi. Verranno anni dopo. Intanto, fuori dalla cornice potrebbe non esserci altro al mondo.

Restiamo in contatto

Iscriviti alla Newletter

Ricevi nella tua casella email tutti gli aggiornamenti sulle nostre attività, corsi, eventi, appuntamenti.

mappa black

Lalineascritta ha la sua sede a Napoli (Vomero), in Via Kerbaker 23, all'interno della Galleria Vanvitelli (accanto a Unieuro) , al piano ammezzato.

E' a 50 metri dalla Metropolitana Linea 1 (fermata Piazza Vanvitelli) e da tutte le funicolari: Centrale, Montesanto e Chiaia.