Giovedì 5 luglio 2012, alle ore 18.00, presso la Sala delle Assemblee del Banco di Napoli in Via Toledo, 177 - Napoli, si terrà la presentazione del "Viaggio in Palestina" di Matilde Serao.
"Libro raro e dimenticato di una grande scrittrice italiana"
Fulvio Panzeri, "Avvenire"
Dopo il saluto di Giuseppe Castagna, Direttore Generale del Banco di Napoli
Mauro Francesco Minervino, curatore del volume, ne discuterà con la giornalista e scrittrice Antonella Cilento.
La recensione del libro che Antonella Cilento ha pubblicato sul Mattino lo scorso maggio:
Magnifica e immaginifica Matilde Serao in viaggio all'estero: immaginate la scrittrice, la fondatrice di questa ed altre testate, l'organizzatrice culturale, la madre devota e l'amante fedele, che parte alla ventura, verso Egitto e Palestina, in un tempo certamente controindicato alle donne sole. Siamo nel 1893 e Serao, perfetta eroina da Far West, viaggia armata, con tanto di pistola e di ironia, poiché una notte, in un monastero sul lago di Tiberiade avverte strani rumori e mette mano all'arma mentre legge i "Pensieri" di Schopenhauer, "che avevo portato meco, così, per non divertirmi troppo in viaggio". E' impossibile non seguirla: la vivacità della scrittura, le osservazioni che, fatta una dovuta tara all'epoca e agli usi, potrebbero appartenere all'oggi, trascinano il lettore oltre le soglie dell'esotico, al limite di inquietudini modernissime che Serao, come spesso capita ai veri scrittori, anticipa. Ad esempio, fa giustamente notare nella prefazione a questo bel libro Mauro Franco Minervino, è la prima europea forse, ma di sicuro la prima autrice italiana a lamentarsi della nuova moda dei viaggi low coast che rendono accessibili Alessandria d'Egitto ("mercantessa sdraiata sul mare") o Jaffa (che somiglia ai suoi occhi a Sorrento) ad orde di turisti senza cultura, comitive con poco denaro ma molto organizzate sull'onda della moda lanciata da Thomas Cook, pioniere del viaggio di gruppo per i meno abbienti dell'Inghilterra vittoriana (1841, l'anno di fondazione della prima agenzia turistica moderna). Altro che Grand Tour, altro che scrittori, poeti e pittori o musicisti e attori alla ricerca della Grande Madre mediterranea e delle scomparse culture: Serao s'imbatte nel turista più bieco, affamato, affannato, superficiale, niente a che vedere con il viaggiatore in stile Chatwin. E questo è solo uno dei prodigi che il lettore troverà in "Viaggio in Palestina" (MUP editore, ovvero Monte Università Parma, euro 19, pp. 229) nell'ambito della nuova collana Petitò che propone in uscita il 9 maggio – presentazione domenica 14 alla Fiera del Libro di Torino - una raccolta di racconti inediti di Zola, "Per una notte d'amore", un romanzo di Evgenij Zamjatin la cui unica edizione italiana risale al 1932, "A casa del diavolo", il romanzo d'esordio di Andrea Menetti, "Debite Proporzioni" e, infine e soprattutto, questa rarissima Matilde Serao, edizione originale del 1905 "Nel paese di Gesù. Ricordi di un viaggio in Palestina" (Perrella, diciassettemila copie e cinque ristampe) e riedito a Milano da Treves nel 1920 e prima ancora uscito a dispense sul nostro "Il Mattino" nel 1893. Del resto Matilde Serao appare in queste pagine nel pieno del suo splendore: sono questi gli anni de "Il paese di Cuccagna", forse l'opera narrativa sua più matura, e questo è il periodo in cui la conobbe e lesse con attenzione Henry James, definendola prima "great Matilda", impressionato dalla sua effervescente e mediterranea femminilità di scrittrice, e poi liquidandola come prodotto del giornalismo contemporaneo senza eminenza formale, salvo scimmiottarla, a quanto pare, come ricorda Minervino nella sua curata introduzione, in un racconto intitolato "In the cage" del 1898, assai simile a "Telegrafi di Stato", racconto autobiografico del 1884 dove "the great Matilda" rievocava la sua giovinezza presso gli uffici del telegrafo allora siti nell'attuale sede della Facoltà di Architettura di Napoli, ovvero Palazzo Gravina. Questo è comunque il ventennio – dal 1880 alle soglie del nuovo secolo - del grande riconoscimento della scrittrice, che pubblica come Proust sulla celeberrima "Revue Blanche", fonda "Il Mattino" (1892), numerosi supplementi come il "Masto Rafele" (vedi la preziosa monografia di Donatella Trotta "La via della penna e dell'ago"), il "Giorno", la "Settimana" e intanto scrive e viaggia, organizza e pubblica e incontra e recensisce, tutto instancabilmente. Per l'edizione americana di "Fantasia", siamo nel 1890, Edmund Gosse, poeta e critico, scrive di Serao "la più importante e fantasiosa tra gli scrittori italiani della sua generazione" e Attilio Momigliano la definisce "la più grande pittrice di folle che abbia dato il nostro verismo". Di questo troviamo senz'altro conferma in "Viaggio in Palestina" e che poi questo sia anche un viaggio di fede verso la Terra Promessa, questo conta sì, per la scrittrice, ma vince su di lei l'impressione sensoriale, estetica, la vivacità fisica che è trama e traccia di quasi tutti i suoi scritti migliori. A paragonarla con le grandi voci inglesi o francesi (e non solo quelle femminili) che l'avrebbero preceduta o seguita nell'esplorazione scritta del viaggio, Matilde non sfigura, anzi dà punti a molti in termine di colore ma senza indulgenza, senza fracasso. In fondo, il Mediterraneo per lei non è lontano, le appartiene, e Napoli non è che una delle declinazioni del Cairo e di Gerusalemme.
Dalla Prefazione, pp. 5-7:
"Vi è un viaggiatore comunissimo, che s'incontra dappertutto, il quale passa da un paese all'altro, con un'attività instancabile, sempre coi segni della più vivace curiosità sul volto, che compie le gite più faticose, che si azzarda nei luoghi più rischiosi, che stanca la pazienza di qualunque compagno di viaggio, che si fa maledire da qualunque cicerone, e che ritorna costantemente, da tutti i punti del globo, da lui minuziosamente visitati, manifestando la soddisfazione più sincera. Se, cortesemente, voi gli chiedete conto delle sue impressioni, egli vi comunicherà, con la massima importanza, e come se vi rivelasse una profonda verità segreta, scoperta solo da lui, che le trattorie sono care a Parigi, che Londra ha una ferrovia metropolitana, che la corsa nei vaporini sul Canal Grande di Venezia costa due soldi, che i battelli russi sono meno celeri di quelli austriaci, e che tutta l'acqua di Oriente non potabile; nonché altre simili novità preziose e acute, che la sua sagacia ha ritrovate, nei suoi viaggi, a prezzo di fatiche, di tempo, e di denaro. Questo viaggiatore, innocuo, del resto, e talvolta anche simpatico nella sua frivolezza, è numeroso come gli astri del firmamento: ed ha la più completa rassomiglianza con uno dei suoi eleganti bauli, tanto che a me sembra che, rientrando in casa, egli si vada a collocare tranquillo, immobile, in un cantuccio oscuro, fino a che un nuovo viaggio non mobiliti i suoi bauli e lui.
Un viaggiatore, meno comune, ma non raro, è colui che domanda continuamente il pittoresco, in ogni breve tappa del suo vagabondaggio: i suoi occhi e la sua fantasia hanno sete di linee, di colori, di tinte sempre sorprendenti: egli chiede alla campagna, alla città, al mare, alle chiese, alle persone, di meravigliarlo, ogni sera e ogni mattina. Il suo non è un cervello, ma una galleria di quadri: il suo spirito non è che un panorama, di cui egli desidera sempre cambiare le immagini. Più tardi, poi, quando egli vorrà percorrere di nuovo con la mente quello che vide, questi quadri, non legati fra loro da un'idea, non congiunti dalla logica di un costante pensiero, dal filo di un sentimento, si confonderanno, sovrapponendosi: fuggito il rapido piacere del senso visivo, non legato lo spirito a una espressione intima, questi ricordi di viaggio si disperderanno: e vano sarà stato il suo lungo errare, di paese in paese. Ma, io conosco un viaggiatore diverso da tutti gli altri, uomo o donna che sia, giovane, vecchio, povero, ricco: un viaggiatore sentimentale e bizzarro, che obbedisce singolarmente a una curiosità esclusiva, unica, assorbente. Costui, a traverso ai costumi ed ai paesaggi, oltre le fogge e i colori, oltre le leggende della fantasia e le memorie della storia, chiede qualche cosa di più intimo ai paesi che lo vedono apparire, singolare pellegrino del cuore. Costui, viaggiando, mentre trascura certi aspetti di cose e di persone, che sembrano più importanti, ne ricerca altri più umili, meno interessanti: mentre resta poco tempo in una città grande, si attarda due giorni nell'albergo di un villaggio: mentre non penetra in un museo, è attirato da una fiera campestre: mentre non sa estasiarsi dove tutti si estasiano, ha un grido di ammirazione, per qualche cosa che non attira nessuno. Questo viaggiatore silenzioso, capriccioso, ostinato, preso dalla sua singolare ricerca, è colui che vuol vedere palpitar l'anima dei paesi che attraversa. Ogni paese ha un'anima, lo sapete. Dove essa risiede mai? Chi lo dirà? Inafferrabile e pure reale: fuggitiva e pure onnipresente, fluttuante, fluida, l'anima di un paese è, talvolta, negli occhi delle sue donne, in una sua via, in un paesaggio a una cert'ora, in un frammento di statua, in un'arme arrugginita, in una canzone, in una parola. È un fiore, talvolta, l'anima di un paese."